Microtraumi relazionali (traumi cumulativi)

2 – I MICROTRAUMI

Sulle prime può stonare la combinazione dell’aggettivo “impercettibile” con il concetto di trauma. Ma quando si parla di microtraumi cumulativi ci si riferisce ad eventi impercettibili che si ripetono andando a cumulare un effetto traumatico.

Eventi che possono comportare un insegnamento inconscio, che influenza le credenze, l’identita e il senso di sé della persona. Questo insegnamento inconscio prende la forma di convinzioni che si reiterano sulla base dell’attitudine acquisita. L’idea di evento che cumulativamente produce effetti inoltre sembra evidenziare il fattore interpersonale. Già Ferenczi ha spostato l’attenzione dal contenuto del trauma alla mente che lo subisce. Il trauma non è più un fatto prevalentemente intrapsichico ma un evento che produce effetti sul contenitore/mente in relazione alla sua stabilità e alla capacità di farvi fronte.

Le relazioni primarie danno forma all’identità, conformano la psiche in una determinata maniera. Anche eventi relazionali transegenerazionali o comunque non vissuti in prima persona, ma attraverso le increspature prodotte dalla relazione per esempio tra i genitori (o genitori e famiglie, genitori e altri figli, insegnanti ed altri alunni) possono depositarsi nella psiche. La sfera relazionale crea la scena affinché i cosiddetti traumi cumulativi si compiano. In tale scenario vari meccanismi di difesa psichici possono contribuire a rinsaldare un microtrauma, non occorre che l’evento sia in sé macroscopico. Prevale la risposta del soggetto. È il modo di vivere un evento che può rinsaldare il trauma. Si può notare che se si è particolarmente vulnerabili ad una situazione si diventa ipersensibili a situazioni simili. Le condizioni specifiche della situazione originaria possono aver prodotto la vulnerabilità.

Una prima domanda che può sorgere è sugli effetti e sulle cause del trauma, il microtrauma è necessariamente frutto di un micro evento traumatico, o l’evento può anche essere sconvolgente ma l’effetto può essere microtraumatico? La risposta è cautamente generica: in certe circostanze un’azione ostile o critica potrebbe essere problematica senza necessariamente essere traumatica sia al micro che al macro livello. Molto dipende dal carattere delle persone coinvolte, dalla salute della loro relazione e da diversi altri fattori.

Come le rocce appuntite sono solo vagamente visibili, se non del tutto invisibili, sotto l’acqua della costa, così i momenti potenzialmente dannosi possono essere prevalentemente trascurati. Come risultato questi eventi più impercettibili, soprattutto nell’insieme, possono creare dei lividi psichici difficili da notare e ancora più difficili da trattare, con la conseguenza che si accumulano invisibilmente. Tali danni possono alterare il carattere, diminuire il senso del proprio valore e compromettere le relazioni con gli altri. Dobbiamo guardare anche agli eventi interattivi piccoli e ripetitivi e abbiamo anche bisogno di prestare attenzione a ciò che è accaduto non solo nelle fasi precoci ma anche in qualsiasi altro momento del ciclo di vita. Penso che dobbiamo focalizzarci sui residui che questi particolari eventi lasciano o sulle loro manifestazioni o ripetizioni dell’attuale modo di essere di ciascuno. Di sicuro, esplorare le modalità di relazione quotidiane in modo analitico è stato uno dei pilastri del pensiero relazionale e interpersonale.

COME SI POSSO AFFRONTARE I MICROTRAUMI CUMULATIVI?

Non è detto che le persone notino i momenti microtraumatici e se ne lamentino; spesso non se ne accorgono neppure. O se pur hanno un indizio di ciò che sta avvenendo con coloro che li feriscono emotivamente, i momenti di particolare offesa sembrano troppo piccoli, troppo brevi per aver avuto un reale impatto. Quindi a prescindere dell’evento traumatico, che può anche non essere immediatamente identificato, il compito dell’analista è di portare l’altro a mettere sotto una lente di ingrandimento i propri vissuti così che egli possa esplorare le emozioni attivate dalle interazioni e iniziare a integrare nel proprio vissuto le conseguenze di tali risposte. Piuttosto che avvertire semplicemente che ci sono stati mentali portatori di sofferenza. L’esperienza microtraumatica è per definizione qualcosa di minimizzato e, in quanto tale, il suo impatto rimane non espresso, dissociato o represso. Così il danno cresce e il risultato è una deviazione nel proprio senso di benessere, efficacia o coesione. Riguardo alla riorganizzazione dell’identità intorno al microtrauma viene in mente la riflessione sulla cultura in ambito sociologico. Gli esseri umani sono diversi dagli animali, in primo luogo essi sono psicologicamente incompleti alla nascita. La vita indipendente dalla madre inizia solo parecchi mesi dopo la nascita. Ma per tutta l’infanzia i codici genetici dell’uomo non danno informazioni sufficienti alla sopravvivenza, mentre un cucciolo di animale potrebbe sopravvivere in una foresta gli umani devono imparare a vivere. L’apprendimento negli umani è un processo di socializzazione e interazione attraverso cui si trasmette la cultura. Scrive Geertz “all’uomo sono date capacità innate di reazione estremamente generali che lo regolano con molta minor precisione [..] non diretto da modelli culturali – sistemi organizzati di simboli significanti – il comportamento dell’uomo sarebbe praticamente ingovernabile, un puro caos di azioni senza scopo e di emozioni in tumulto, e la sua esperienza sarebbe praticamente informe.”

Così la cultura viene a formarsi come strumento che protegge dal caos e dirige il comportamento verso determinate linee di azione e lontano da altre. Se ora pensiamo alle interazioni micro-trumatiche possiamo immaginare che l’individuo apprende dall’ambiente circostante un dato che ha la valenza di cultura, in quanto continuamente reiterato (cumulativo) e carico di significato personale. Il trauma che insorge può essere messo in relazione all’importanza della cultura assimilata per proteggere dal caos e dall’annichilimento, quindi se il feedback che si riceve dall’ambiente è contrario all’espressione delle proprie potenzialità il vissuto individuale sarà di sofferenza. Ciò che si apprende di sé attraverso la relazione con l’altro crea un immagine negativa di sé. Quando questo processo si verifica su aspetti di sé già costituiti può succedere qualcosa di simile a quanto espresso da Correale durante la conferenza. Nel suo intervento Correale dice che i microtraumi fanno breccia nelle difese, costringono ad una riconsiderazione. Altrimenti saremmo sempre nel già noto. «Pensavo di essere x e tu mi tratti da y». In questo modo si esce dalla bolla idealizzante e si inizia a considerare di non essere come si credeva. Si rompe il familiare ed entra il perturbante. Nell’ambito dell’interazionismo simbolico questo processo diventa evidente. Si ritiene infatti che l’identità, o il senso del sé, venga prodotta dalle interazioni con gli altri e che richiede la conferma degli stessi, l’individuo cerca di proiettare un certo insieme di significati su coloro con cui interagisce, e a sua volta cerca di interpretare i significati costruiti dai partner dell’interazione. Goffman spiega questo processo impiegando le metafore delle performance teatrali in cui l’attore riceve informazioni sulla sua identità dalla risposta del suo pubblico. Mead dice che il gesto di un Alter si traduce in simbolo significante attraverso il processo interpretativo di un Ego (Griswold, 2004).

Ogni fase della vita può avere i suoi microtraumi; e questi possono, o non possono, sgorgare da sorgenti più profonde.”Comunque, il risultato è una ferita psichica che cresce impercettibilmente nel tempo, intaccando a poco a poco il senso personale di valore e benessere.” Pensiamo a quando si dice “all’inizio non ero così..” si intende che la altri comportamenti che prevedono una continuità e una escalation che dapprima genera tensione, che si cerca di minimizzare, poi l’allarme percepito diventa sempre più preoccupante, ci si sente condizionati nella propria libertà. Ecco, il microtrauma opera come un condizionamento. Per questo può o non può risalire a relazioni primarie, eventi fondanti o fasi della vita precoci. Se c’è un evento non controllabile, che produce effetti spiacevoli sulla psiche, ci può essere un microtrauma.

Una serie di condizioni psichiche “che si ampliano per ripetizione” esperite in relazione agli altri può accumularsi creando dei muri interni. Creando un clima di accoglienza e comprensione emotiva il soggetto sente di poter indirizzare la riflessione sui piccoli eventi che condizionano la propria libertà psicologica e infliggono colpi alla propria identità. Se l’analista ha in mente che un episodio può aver costituito un microtrauma allora è probabile che il paziente ne parli, approfondisca i suoi vissuti e tenda a dare maggior peso di quanto avrebbe fatto altrimenti a quell’episodio. Quindi nell’ora di analisi quel tema prende uno spazio ed un’attenzione maggiori. L’attenzione che l’analista dedica, anche se rimane in silenzio, a quanto porta il paziente influenza i temi che si ampliano e quelli che si lascia cadere in seduta. Però l’analista ha il diritto di dare attenzione a ciò che crede sia più significativo in quel momento per la terapia, perché uno psicoterapeuta è tale perché ha una sua teoria. Come infondo qualsiasi guaritore è tale perché ha una teoria della malattia e della guarigione.

Considerando che i microtraumi che si attivano nella quotidianità limitano la realizzazione, il benessere psicologico, e la libertà del paziente che vuole stare meglio allora diventa utile prestare attenzione ed analizzare questi vissuti come punti in cui si sono ancorati determinati aspetti spiacevoli di sé. Come isole in cui sono relegati stati del sé (con un linguaggio alla Bromberg) che non riescono a comunicare e negoziare con gli altri stati del sé.

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DOTT. DAVIDE FARRACE, PSICOLOGO PESCARA

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